IMG2021 Milano

Conferenza Img2021 Milano

IMG2021 Milano: #mytwocents sulla terza edizione della conferenza biennale IMG che quest’anno affronta il tema Image Learning.


Terzo appuntamento per IMG la conferenza di respiro internazionale che, dopo Bressanone (2017) e Alghero (2019), quest’anno fa tappa a Milano, grazie a Politecnico e all’Università di Milano-Bicocca.

I due atenei hanno offerto una visione convergente sul tema: da un lato quello dell’immagine, così come intesa nell’ambito della cultura del progetto e della sua rappresentazione, dall’altro il mondo della formazione e della pedagogia, ovvero delle immagine com medium, piattaforma e strumento di apprendimento. Un affresco corale e interdisciplinare che trova il suo punto focale nell’immagine, appunto, tra disegno e formazione.

Tra i tanti interventi – nel programma si sono alternati keynotes e molte sessioni parallele – condivido alcuni appunti di quelli che sono stati attratti dal campo gravitazionale dei miei interessi e che toccano entrambi gli estremi dello spettro tematico, strettamente in ordine… anarchico.

What Can We Learn From One Million Images? Lev Manovich

Ero abbastanza curiosa di sentire Manovich “dal vivo” – uno dei keynote speaker – per capire le sue ricerche, al di là della narrazione del personaggio citato sempre, ovunque e comunque 😉

Alla base dell’esplorazione di M. c’è l’uso  i big data – in senso lato il materiale che nasce a cavallo tra i social media e le tecnologie digitali –  come strumenti di studio delle culture visuali contemporanee, soprattutto a partire dall’abbondanza di immagini che diventano una fonte di conoscenza se organizzate e comprese.

Se l’immagine, infatti, è alla base dei processi di conoscenza umana – dall’arte alla scienza – l’introduzione di strumenti di machine learning (supervisionati) – che posso estrarre e organizzare pattern dai dataset e poi classificare le immagini secondo criteri altrimenti non visibili – come cambia tali processi? Gli algoritmi, però, hanno bisogno  di uno scopo specifico per elaborare ed estrarre conoscenza dai dati.

Invece, nel caso dell’approcci delle Cultural Analytics, promosso da M., i tool digitali estraggono  pattern dai dataset delle immagini culturali perché hanno valore in sé e generano, quindi, nuova conoscenza.

M. illustra il tema grazie a una serie di casi studio e progetti. Il primo è Subjects and Styles in Instagram Photography. Uno studio sullo sullo street-style che, a partire da milioni di immagini condivise, restituisce una visione sociale e geografica su più livelli – globale, tradizionale, locale – delle ricorrenze e differenze nell’ambito dell’abbigliamento. Il punto critico, secondo M. è il passaggio da una dimensione di intelligenza artificiale a quella di intelligenza culturale in cui il machine learning non-supervised e quindi non predittivo, è orientato non solo dal dato, ma anche dalle domande e da strategie il cui fine è avere una struttura e un’interpretazione umana dei dati.

L’evoluzione storica, iconografica e tecnologica delle copertine di riviste come Times, l’analisi di manga e anime o delle immagini postate e condivise sui social dalle persone – Instagram e Twitter in primis – sono occasione per costruire senso della cultura visiva, sociale, politica o materiale che le ha generate. Eppure i big data sono indispensabili, ma non sufficienti: sono quelli qualitativi, small, a scala individuale che ci raccontano non tanto il cosa, ma il come e, a volte, i perché.

Più o meno quello che succede nel progetto Selfiecity che ha coinvolto diverse città nei vari continenti – come Berlino, Bangkok, New York, Mosca, Sao Paulo – e i selfie (3200 immagini) realizzati e i postati dalle persone che sono navigabili e interrogabili secondo differenti parametri. Alcuni più iconografici o connessi al riconoscimento di caratteristiche come età, genere, posa, inquadratura e altre componenti intangibili come il mood, il sorriso, come espressione di felicità o di ironia e così via.

Lev Manovich: Selfiecity homepage
Lev Manovich: Selfiecity homepage

L’interpretazione teorica dei “risultati” ha seguito non tanto il concetto di cultura così come è proprio delle humanities –  intesa come espressione materiale e oggettuale, alla base delle collezioni di artefatti come manoscritti, film etc. dei musei – bensì quello alla base dell’antropologia culturale che pone al centro il linguaggio, i comportamenti, le ideologie etc.

In attesa della pubblicazione del nuovo libro Cultural Analytics vi rimando alle versioni italiane di due lavori precedenti di M. presenti in biblioteca:
→ Vedi la scheda: I linguaggi dei nuovi media, Lev Manovich
→ Vedi la scheda: Software Culture, Lev Manovich

Claudia Giudici, presidente Reggio Children Reggio Children a IMG2021

L’intervento della G. guarda al tema da una prospettiva speculare: l’immagine come prima forma di alfabetizzazione che lз bambinз1 incontrano e manipolano, indipendentemente dalla loro natura tradizionale, in movimento o digitale.  Ma proprio la modifica delle modalità di interazione del digitale richiede una una riflessione urgente e condivisa sulla questione. Le immagini sono un modo per conoscere e apprendere e attiviano meccanismi di figurazione incarnata secondo le neuroscienze. L’esperienza è immersiva, molto più diretta rispetto alla sola lettura del testo verbale  – cosa che non implica una contrapposizione, cosa che rappesenta una potenzialità per ampliare le possibilita di conoscenza dellз bambinз.

Le immagini, infatti, danno forma al nostro universo simbolico e attingo a diversi linguaggi – forme di rappresentazione e comunicazione del pensiero – rendendo la conoscenza polisensoriale e multimodale. Tuttavia la matrice è il visivo poco considerata nel mondo della didattica e nella scuola dove il disegno e il visivo sembrano rimanere più accessori anziché parte integrante dei processi di apprendimento e di sviluppo cognitivo. L’immagin/azione è un tema centrale in molte riflessioni sull’apprendimento e la creativià, come ci ricorda Gianni Rodari nella sua Grammatica della fantasia – proprio dedicata a Reggio – o il lavoro di Loris Malaguzzi già a partire dagli anni ’60/70. Lз bambinз.desiderano ricercare da sé, provare, sbaglia, stupirsi, capire, vogliono, cioè, immaginare per inventare, progettare, costruire. È dunque il momento di consentire di impossessarsi di punti di vista diversi, di rompere le righe della razionlità e spaziare, grazie alle immagini, nell’immaginazione.

Participatory actions in virtual spaces. The role of images in the construction of shared spaces, Lola Ottolini

Monica Guerra e Lola Ottolini: In strada, Azioni partecipate in spazi pubblici. Biblioteca Amnesia
Monica Guerra e Lola Ottolini: In strada, Azioni partecipate in spazi pubblici. Biblioteca Amnesia

O. autrice, con Monica Guerra, del libro In stradain cui vengono proposte una serie ragionata di pratiche di partecipazione sociale negli spazi pubblici – nel suo intervento racconta come le immagini siano uno strumento per stimolare azioni partecipative e di relazione tra le persone e i territoi urbani.

A maggior ragione, a partire da marzo, il primo lock-down ha fatto drammaticamente emergere la necessità di stimolare un senso di comunità e di mondi alternativi e possibili di appartenenza. I flash-mob che si sono spontaneamente generati sui balconi sono stati momenti fondamentali per ricreare quel senso di prossimità emotiva e sociale, azioni partecipate tramite l’esperienza condivisa della distanza e, al contempo, della presenza.

Uno delle azioni più significativa, è stata  Reflections from the 21st Century promossa dall’artista e attivita Candy Chang (@candychang) su Instagram dove ha raccolto a partire dal 2020 le centinaia di post dei desideri delle persone, dei loro stati d’animo pre e post pandemia.

A livello locale, O. ricorda il concorso: BienNoLO2020 Paesaggi inimmaginabili Cartoline dal nostro pianeta – promossa dall’associazione ArtCityLab ETS/Onlus – tesa a creare un archivio della memoria del perodo pandemico tramite 400 immagini raccontare da noi stessi, nello spazio domestico in cui siamo stati confinati, campo di azione, limite o sguardo sul fuori. Molte le iniziative in questo senso come Timidi piccoli e fragili percorsi espositivi domestici. Un laboratorio promosso da Giulio Iachetti per Palazzo Grassi per diventare curatori delle proprie piccole mostre casalinghe: 6 oggetti da scegliere con cura e da mostrare, decidendo come, dove collocarli per poi condividere l’esperienza in uno spazio collettivo online (Facebook e Instagram) con l’hashtag #palazzograssiatyours. Un cocetto simile è stato adottato anche da Abbicuradite2020 un’esperienza curatoriale domestica basata sull’uso delle immagini per riflette sulla nostra relazione con lo spazio, organizzata da Maddalena d’Alfonso e Giulia Mura.

O. e Guerra stesse hano animato il PEPAlab con il workshop Un’azione partecipata per raccontare una città equa e sostenibile per Milano Digital Week 2021, in cui, i luoghi fotografati dai partecipanti generano un’idea collettiva di citta equa e sostenibile pur nella distanza fisica del periodo. L’evento, che è stato vissuto nel limite della presenzaun numero finito di partecipanti, un luogo specifico per la condivisione delle idee in un tempo determinato – si è poi espanso oltre le specifiche istanze spazio-temporali grazie all’online, che ne ha dilatato i tempi e lo spazio di riflessione e dialogo. Il ruolo delle immagini, come produttrici di visioni, è stato dondamentale: medium per produrre, fissare e restituire con immediatezza le idee, strumento valido in se stesso e complemenatere alle azioni partecipate.

→ Vedi la scheda: In strada, Monica Guerra e Lola Ottolini


Ed infine, una carrambata! 😉

Letizia Bollini e Giovanni Anceschi
Giovanni (Anceschi) & me! 🙂
  1. sto iniziando a utilizzare in forma sperimentale lo schwa: se sbaglio, corrIgetemi (cit.)

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