Confessioni di una frequentatrice compulsiva di conferenze di design, comunicazione e digitale e i post in cui ve le racconto.
Una nave da crociera si era trasformata in sale per riunioni, per commissioni, per il lavoro organizzativo. Un solo rumore: lo sciabordio dell’acqua sullo scafo; una sola atmosfera: di giovinezza, di fede, di modestia e coscienza professionale.
—Le Corbusier, 19331
Conferenze del 2018
Questo, più o meno, l’elenco delle conferenze, workshop, lezioni o seminari a cui ho partecipato nel 2018 con i relativi post:
Gennaio
- WIAD 2018, Trento
- Innovation Pub: Innovazione e imprenditorialità. Donne di successo alla guida di startup, Università di Milano-Bicocca
Febbraio
- Graphic design as a cultural object: History, heritage and mediation in the digital age, IUAV di Venezia
- Haptic Technologies con Gabriel Baud-Bovy
- Meet the Media Guru: Nasce MEET
- Innovation Pub: Leggere senza barrierie. EasyReading tra innovazione e inclusività, Università di Milano-Bicocca
Marzo
- Ux Talk: Wonders of interactions con Gillian Crampton-Smith, Politecnico di Milano
- Culturability 2018
- Milano Digital Week 2018: Digital typefaces design, lo stato dell’arte con Roberto Arista, Marta Bernstein, Alessio D’Ellena
- Ux Alliance: Ux Masterclass 2018
Aprile
- Di tutti i colori! Il colore progettato con Riccardo Falcinelli, MUBA di Milano
- Ux Book Club: con Roberto Falcone
Maggio
- De_Sign. Environment Landscape City 2018, Università di Genova
- Tjanjin Design Week, Cina
- UxUniversity: Responsive Design Workflow con Francesco Improta
Giugno
- Kerning Conference 2018
- Meet Designers Italia
- XXV edizione Premio Compasso d’Oro
- Experience Matters 2018: Intelligenza Artificiale
Luglio
-
EARTH2018 Digital Environments for education, arts and heritage, Freie Universität Bozen
Settembre
- Conferenza Italina del Colore 2018, Sesto Fiorentino
- UID 2018: Rappresentazione / Materiale / Immateriale, Politecnico di Milano
- AIAP Workshop: Progettare un laboratorio visivo con Obelo
- Milano Attraverso
Ottobre
- Google Days: Augmented Reality e Storytelling
- Design System Workshop con Alla Kholmatova, Bologna
- ADI Design Index 2018
- Ux Book Club: Radical Collaboration con Maria Cristina Lavazza
- Summit Italiano di Architettura dell’Informazione, Genova
- ACSG: Mr. Linea di Osvaldo Cavandoli
Novembre
- WUD 2018, Milano
- Ux Book Club: User eXperience Design con Debora Bottà
- Book City Milano 2018: Raccontare un quartiere. Luoghi, volti e memorie della Bicocca, Università di Milano-Bicocca
- Book City Milano: User Experience Design con Carlo Branzaglia e Debora Bottà, IED di Milano
- Book City Milano 2018: Genere e design. Una trama a più voci, Politecnico di Milano
- We AIAP, Assemblea annaule AIAP
Dicembre
- Leggere un luogo, rappresentare il paesaggio con Simo Capecchi, Politecnico di Milano
[Avvertenza: da qui in poi il post diventa moderatamente sarcastico]
Premessa
Frequento conferenze – seminari e workshop – per mestiere, per condividere il mio lavoro di ricerca, per curiosità, per aggiornamento o per imparare cose nuove direttamente da chi le sa/fa. Le ritengo uno strumento validissimo di disseminazione culturale e di connessione personale.
Tuttavia, a fronte dell’aumento esponenziale del numero, frequenza e varietà, mi interrogo sulla loro utilità. Specialmente se ti trovi a correre tra 6 sessioni parallele, senza poi riuscire a seguire quasi nulla.
Le community al tempo dei post-social
Le conferenze sono sempre state un momento di incontro delle comunità, specialmente in ambito scientifico e culturale, dove condividere risultati, nuove idee e stati di avanzamento di ricerche e progetti. Nel tempo lento dei secoli scorsi erano l’occasione di contatto e dialogo diretto. Le interazioni avvenivano, altrimentimenti, grazie alla corrispondenza ed alle poche, ponderate e significative pubblicazioni.
La rete ha avuto il grandissimo merito di permettere a chiunque, ovunque, di trovare contenuti, contatti e informazioni – quelli digitalizzati e/o on line, ovviamente 😉 – garantendo un’inimmaginabile possibilità di ampliare la propria conoscenza.
Ma al tempo dell’accesso universale, dei social e dei post-social, le conferenze hanno ancora senso?
La percezione che si trae dalla vita online è di essere informati, di avere una dieta digitale varia, appetitosa, saziante e il frigo ancora pieno! La sensazione è di essere intellettualmente autosufficienti all’interno di gruppi di simili concordi e fin troppo assertivi in cui la dimensione virtuale è reale, ma al contempo straniante, come sostiene la Turkle [1].
A maggior ragione nell’era, che definirei, dei post-social.
Una sorta di deriva presa dalle piattaforme di social sharing e social media – il post web 2.02 — andate talmente oltre che, anziché essere una occasione di crescita e di costruzione di un’intelligenza collettiva [2], sono diventate piuttosto bolle sociali, rumore di fondo, doping SEO e ring per algoritmi e haters.
Ben vengano, dunque, le conferenze se rimangono e si rinnovano come luogo di dibattito, di dialogo articolato, se torna ad esserci spazio per le domande e per le critiche.
È il social brandig, bellezza!
La seconda riflessione è rispetto al ruolo che le conferenze svolgono nell‘epoca dell’accessibilità sociale che ha ridotto i famosi 6 gradi di separazione a 2 e 1/23 e anche meno.
Sui social puoi dare un poke, seguire, contattare e dialogare con chiunque famoso o tuo pari, senza quelle barriere e asimmetrie tipiche del mondo reale.
L’impressione è che le conferenze siano rimaste una cerimonia per migranti digitali e che, tutto sommato – data la possibilità di farsi firmare un libro o farsi un selfie con il guru di turno – siano uno strumento sempre più sbilanciato sul social networking rispetto ai contenuti.
Mi sembra, inoltre, che la generazione Z – o come la si voglia chiamare – abbia trovato spazi altri, a propria misura, per soddisfare le esigenze in/formazione sia come speaker, sia come pubblico. Le conferenze rischiano di essere un rito istituzionale, ma di altri tempi, al massimo un momento di autorappresentazione e di costruzione di un sé pubblico.
Anche se, in fondo, perfino i/le più affermat* blogger/influencer sentono poi la necessità di scrivere un libro, andare in televisione, come se solo certi passaggi nel mondo reale/tradizionale sancissero il successo e la fama.
Guru ne abbiamo?!
In questo senso, le conferenze sono diventate simili al mercato dell’arte: organizzi la mostra con un unico pezzo/autore di grido molto conosciuto e di facile consumo (Picasso è tra i più gettonati) anche per un pubblico di massa e poi esponi una serie di pezzi minori che nel circo mediatico-espositivo aumentano il loro valore, quotazione e notorietà.
Così si vedono nomi, guru e altra varia umanità portare in tourneé i propri cavalli di battaglia. A volte il pezzo forte non è nemmemo troppo in sintonia con il focus dell’evento, così ti ritrovi ad ascoltare un insieme eterogeneo e disarticolato di punti di vista. La prima volta che li senti li trovi anche interessanti e originali in sé, la seconda ti astrai, la terza speri di non esserci, ma se fai parte dell’ambiente difficilmente la scansi.
Le conferenze stesse sembrano avere confini sempre più osmotici e sbavati, vuoi per il cambio della buzzword del momento o per il fisiologico appannarsi o l’esaurirsi di certe tematiche, a cui però, spesso, l’evento cerca di sopravvive.
Capisco le motivazioni economiche e strategiche di chi organizza (eterna riconoscenza per lo sbattimento, sul serio!), la necessità di riempire le sale e di catalizzare l’attenzione, in un mondo sovraffollato, ma a volte la cosa sfugge un po’ di mano…
Bene, ma non benissimo
Il rischio, infine, è di ritrovarsi ad ascoltare i soliti interventi basic, pensati per un pubblico di newbies che stanno muovendo i primi passi nell’ambiente, anziché per una community che si incontra, spesso annualmente, per raccontarsi e ascoltare la frontiera più avanzata della ricerca, dei progetti e della riflessione teorica del settore.
Nulla di male, ma forse certe attività andrebbero affiancate o anticipate rispetto alla conferenza vera e propria per creare uno spazio di inclusione, senza edulcorare un dibattito necessariamente più esperto e complesso.
Ché, a furia di sentire le stesse cose, mi annoio! 😀
Bibliografia minima:
- Turkle, S. (2016). Reclaiming Conversation: The Power of Talk in a Digital Age. Penguin Group
- Lévy, P. (1994). L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio. Milano: Feltrinelli
- la citazione e l’immagine fanno riferimento al IV CIAM Congresso Internazionale di Architettura Moderna considerato il momento fondativo del movimento e del concetto moderno di architettura. Il congresso si svolse su di una nave da crociera e, durante l’attraversata del Mediterrano da Marsiglia ad Atene, i partecipanti stilarono la Carta di Atene: il manifesto del Razionalismo ↩
- definizione data da Tim O’Relly nel 2004 ↩
- con riferimento rispettivamente alla teoria di Frigyes Karinthy esposta in Catene1 nel 1929 e al più recente libro di Domitilla Ferrari: Due gradi e mezzo di separazione. Come il networking facilita la circolazione delle idee (e fa girare l’economia) uscito nel 2014. ↩