Libro piccolo, eppure densissimo, questo saggio breve di Bill Viola sul concetto di nero come sinonimo di mortalità, non solo dell’immagine, scritto nel 1990 e riproposto nel 2016 da Castelvecchi.
Il testo è stato scritto da Bill Viola nel 1990 come contributo al volume curato da Doug Hall, Sally J. Fifter, David Ross con David Bolt: Illuminating video. An Essential Guide to Video Art. [1] che presentava 41 saggi selezionati di artisti, critici e studiosi. Il testo Video black. The mortality of the image viene inserito nell’ultima sezione dedicata alla narrazione: Telling stories.
A pochi anni di distanza viene tradotto anche in italiano da Cigala e inserito in Vedere con la mente e col cuore a cura di Valentini, volume pubblicato per la VIII Rassegna del Video d’Autore – Taormina Arte [2].
Nel 2016 Castelvecchi lo ha riproposto all’interno della collana Irruzioni coordinata da Cristina Guarnieri. [3]
INTRODUZIONE
L’introduzione, a cura di Bruno Di Marino, nasce da una intervista pubblicata su Alias nel 2014 [4] e sintetizza brevemente il percorso artistico e intellettuale di Bill Viola. Percorso che prende le mosse dagli studi presso la Siracuse University in Visual and performing art e prosegue nel mondo della musica elettronica e del cinema speriementale fino alla personale dedicatagli dal MOMA nel 1987.
Ma sono soprattutto le installazioni video-sonore del ciclo Buried Secrets presentate alla Biennale di Venezia del 1995 in cui il tema dell’arte e della morte si inseriscono nella cornice interpretativa della cultura italiana con The Greeting ispirato al quadro La Visitazione del Pontormo.
IMMAGINE E TEMPO
Il saggio è suddiviso i 4 capitoli che affrontano altrettanti macro temi incentrati sulla varianza del rapporto tra immagine e temporalità, che sia essa eterna o temporanea, effimera o permanente. Ma il tempo è solo una dimensione nella narrazione che, attraverso le immagini può essere fatta della performance che è la vita, con il suo sipario finale. Il parallelo è tra l’immagine che si dissolve nel nero, come assenza di suono e segnale e il raffreddarsi della videocamera, una volta spenta in una possibile occasionale permanenza delle immagini catturate.
Dal parallelo tra il corpo meccanico della macchina e quello umano, la riflessione travalica e abbraccia il rapporto tra arte e tecnologia. Parallelo che prosegue tra le diverse tipologie di nero – fondu, assenza di segnale, spegnimento del dispositivo cioè il vuoto – e i progressivi stadi fino alla quasi-morte e alla oltre-morte. Il nero è il limes [limitem] tra l’immagine e la sua assenza, tra il pieno e il vuoto, tra la vita e la morte.
L’IMMAGINE ETERNA
L’immagine artificiale, che genera memoria culturale, ovvero storia, pone la rappresentazione del mondo prodotta dall’individuo, al di fuori di esso. Nell’arte medioevale, sia occidentale che orientale, il ruolo della figuratività come forma di concezione esistenziale e mitica è incarnato dall’icona. L’immagine sacra per antonomasia acquisisce valore in funzione del suo stesso culto, della devozione dedicatale – del suo uso simbolico, potremmo dire – anziché dalla attribuzione della critica artistica. La loro temporalità mantiene constante un tempo presente continuo, nell’atemporalità della costruzione mistico-religiosa. Gli sfondi dorati che cancellano i riferimenti a un reale riconoscibile e fenomenico, rimandano infatti a un reale spirituale come fonte di ispirazione e per accreditare dell’immagine.
A differenza delle immagini massmediatiche della cultura contemporanea, finalizzate al consumo, le icone preservano la propria importanza rimanendo immutate nei secoli. Dando forma a realtà eterne, si conformano alla proria stessa eternità.
—Bill Viola
L’IMMAGINE TEMPORALE
L’intuizione di Brunelleschi e la formulazione teorica di Leon Battista Alberti della prospettiva sono, idealmente, alla base della nascita delle tecniche di (ri)produzione di immagini artificiali.
Di fatto, Brunelleschi inventa anche l’osservatore. L’identificazione del punto di vista ed il suo porsi nello spazio reale genera la soggettivazione dell’immagine. È la manipolazione ostensiva che immedesima spettatore e autore e li pone, entrambi, nell’ambito della rappresentazione. Quest’ultimo passa dalla forma bidimensionale/descrittiva ad una visione spaziale ed evocativa in cui si inserisce la quarta dimensione, ovvero il tempo: “istanti cristallizatti” passati e mortali.
L’IMMAGINE TEMPORANEA
La macchina fotografica concretizza e dà forma fisica all’immagine sottraendola al dominio dei pittori. La meccanizzazione della produzione dell’atto visivo libera quest’ultima dalla temporalità grazie alla “reperibilità sequenziale automatica”.
Sono questi i prodromi della nascita dell’immagine in movimento. Nel 1823 il fenachitoscopio di Joseph A.F. Plateau e lo stroboscopoio di Simon R. von Stampfer sono gli strumenti da cui nascerà il cinematografo: una “combinazione di sequenze di immagini in un tempo dato (montaggio)”. O, come la definisce Hollis Frampton “mimesi, incarnazione e concretizzazione del movimento della coscienza umana stessa.” La varibile tempo, nel senso di progressione, conduce a un processo mentale più che a una sequenza materiale di oggetti.
Il tempo diviene materia prima nella videoarte in cui la durata è il medium così come la luce lo è per l’occhio nella pittura e nelle arti figurative del XX secolo.
Se nell’interpretazione medioevale la pittura ottica post-brunelleschiana sembrava non del tutto presente (l’illusione di un altrove contrapposta all’esistena concreta, non-descrittiva dell’immagine iconica) il cinema è a tutti gli effetti non presente.
—Bill Viola
L’ULTIMA IMMAGINE
Nero, in molte culture, è il colore del lutto, o, meglio, l’assenza di colore. e nera è la pupilla, prima macchina per produrre immgini artificiali, o per specchiarsi. In questo atto si riverbera, da un lato, il fenomeno del riflesso infinito, sorta di eco visivo. Dall’altro, il ridurre sempre più la distanza del punto di osservazione rispetto al soggeto osservato ne occlude la visuale.
Osservazione e speculazione alla base di tradizione filosofica, da quella socratica al neoplatonismo medievale. Il nero della pupilla, territorio dell’inestitente è il luogo stesso del vuoto alla base di molti processi di meditazione. Viversa, nella cosmologia persiana il nero della pupilla si pone sopra e in antitesi con il disco bianco del sole.
Ecco allora il nero del video. Il nero, tra i più profondi, della dissolvenza, la neve disturbo e assenza di segnale – suggerisce la Voce al Narratore – infine il nulla, quando l’apparecchio è spento o staccato, come l’occhio chiuso, il sonno, la morte. Quello stato tra quasi -morte e oltre-morte, in cui, tuttavia, c’è ancora possibilità di rigenerazione.
Bibliografia minima:
1. Doug, H., Fifter, SJ., Ross, D. Bolt, D. (Eds.) (1990). Illuminating video. An Essential Guide to Video Art. New York: Aperture/BVAC
2. Valentini, V. (1993). Bill Viola. Vedere con la mente e con il cuore. Opere e saggi di un grande fotografo. Gangemi
3. Viola, B. (2016). Nero video. La mortalità dell’immagine. Roma: Castelvecchi
4. Di Marino, B. (2014). Bill Viola. Hardware tecnologico e software del corpo. Alias XVII, 34
Per approfondire:
- Il sito ufficiale di Bill Viola
- La pagina di Wikipedia su Bill Viola
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Saggio
Castelvecchi
2016
A stampa
Bill Viola è uno dei massimi esponenti della videoarte. Le sue creazioni impiegano le tecnologie multimediali più innovative per esplorare i fenomeni della percezione sensoriale; la fissità ieratica delle antiche icone e i procedimenti della cinematografia moderna si fondono in un dispositivo complesso per la conoscenza di sé, nel quale confluiscono suggestioni visuali e sonore. Pubblicato per la prima volta nel 1990, come contributo a una silloge di scritti sulla videoarte, "Nero video. La mortalità dell'immagine" è un testo emblematico della poetica di Viola, in cui si intrecciano tecnica, misticismo e filosofia, ricerca estetica e ricerca interiore, in un percorso evocativo dove l'immagine nel suo continuo trasformarsi diventa mezzo di un mutamento profondo dell'essere.
[dal sito: ibs]